
27 Feb Manon Lescaut

Crediti
Teatro dell’Opera di Roma
Teatro Costanzi
Dramma lirico in quattro atti
Libretto di Domenico Oliva, Giulio Ricordi, Luigi Illiaca e Marco Praga Tate
Basato sul romanzo dell’abate Prévost
Musica di Giacomo Puccini
Direttore Riccardo Muti
Regia Chiara Muti
Manon Lescaut Anna Netrebko, Serena Farnocchia
Lescaut Giorgio Caoduro, Francesco Landolfi
Il Cavaliere Renato Des Grieux Yusif Eyvazov
Geronte de Ravoir Carlo Lepore
Edmondo Alessandro Liberatore
L’oste Stefano Meo
Un musico Roxana Constantinescu
Il maestro di ballo Andrea Giovannini
Il lampionaio Giorgio Trucco
Sergente degli arcieri Gianfranco Montresor
Il Comandante di Marina Paolo Battaglia
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Scene Carlo Centolavigna
Costumi Alessandro Lai
Luci Vincent Longuemare
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
Conversazione con Chiara Muti
di Leonetta Bentivoglio
Forse si potrebbe definire un grande e disperato sogno d’amore fluttuante nelle sabbie del deserto l’allestimento che Chiara Muti – giunta alla sua quarta regia operistica (dopo
Sancta Susanna di Hindemith a Ravenna, Dido and Aeneas di Purcell alle Terme di Caracalla e Orfeo e Euridice di Gluck a Montpellier) – dedica a Manon Lescaut di Puccini.
Nata alle scene nel 1893 e ispirata a un romanzo settecentesco di Prévost (Storia del cavaliere Des Grieux e di Manon Lescaut), è questa la prima opera in cui Puccini sviluppa appieno le tinte caratteriali di uno dei suoi celebri personaggi femminili vibranti e sofferti, destinati al sacrificio conclusivo in palcoscenico e a un’enorme popolarità presso il pubblico di tutto il mondo. Qui l’epilogo della sorte dell’eroina principiale avverrà nella cornice desolata, ai confini dello stato di New Orleans, in cui Manon e l’amato Des Grieux sostano sfiniti dopo la fuga dal penitenziario. “Simbolicamente quella landa è anche il deserto dell’anima attraverso cui Manon aspira alla propria libertà, e in cui invece si trova ingabbiata” spiega Chiara Muti. “Inseguendo una forma di emancipazione, Manon approda in un luogo di abbandono, solitudine e sperdimento che già abitava in lei, e che da sempre le sta nell’anima. E a tempo di minuetto che Manon spira nel deserto che l’ha accompagnata, imbevuta nei ricordi del suo amante… ‘Le mie colpe travolgerà l’oblio, ma l’amor mio non muor’… L’oblio inghiotte le sue piccole colpe, ma il grande amore che ha suscitato la rende un eterno ideale femmineo. E una donna irraggiungibile, folle, sensibile, gaia, forse superficiale. Ma è il suo tragico destino a renderla un simbolo
immortale”
Per questo ha assunto il deserto come leitmotiv della sua regia?
“Sì. E un contesto che lega tra loro gli avvenimenti così come nella musica emerge il ciclo ritornante dello stesso tema. Passato, presente e futuro si fondono in un unico ambiente scenografico che ci restituisce l’emblema di un fato ineluttabile, già delineato dal princi-pio. Formato dalla sabbia, materia fine e fragile, rappresenta la precarietà e la fragilità della vita umana. Inoltre il deserto può essere metafora del tempo, sospeso e infinito
come i personaggi del romanzo di Prévost”
Tempo significa ricordo…
“Infatti, l’intero racconto, nello spettacolo, viene rievocato come un lungo flashback da Des Grieux, il quale narra l’accaduto quando gli è già alle spalle, riferendo il viaggio di quella donna seppellita nella sabbia. Il trait d’union della narrazione è un libro da cui affiorano i fantasmi della memoria. Ogni volta che Des Grieux ne sfoglia le pagine, la vicenda vissuta con Manon si riappropria di lui. E mentre avanza il percorso del ricordo, si creano le immagini sulla scena – la locanda in cui avviene l’incontro che fulminerà d’amore Des Grieux, il palazzo di Geronte, il porto, il deserto americano… Le varie ambientazioni sono visioni del Settecento, l’epoca del romanzo, ma rivisitato con lo sguardo di un Ottocento un po decadente, il secolo di Puccini. È come se la sabbia creasse miraggi mnemonici facendo risorgere spettri”.
Manon affiora quindi dal passato nella mente di Des Grieux?
“Sì. lI paesaggio in cui sono immersi possiede anche li ricordo dell’ultima immagine di Manon divorata dal deserto che ha sempre perseguito, come ci dimostra l’inizio dell’opera apparentemente allegro ma attraversato da qualcosa di sinistro, dove già s’intravede l’ombra dei successivi eventi. Pur nella sua vaghezza e incoscienza, Manon sente in sé i germi di un’esistenza breve e infelice. Prima di morire, riconoscerà esplicitamente li deserto che reca dentro di sé. ‘lo la deserta donna!… E nel profondo deserto io cado’, canta in quel luogo di solitudine e morte”.
Lo spettacolo non prevede alcuna modernizzazione del libretto?
“No, perché i personaggi di quest’opera non sono dissociabili dall’epoca che ne ha fatto dei miti. Se il si attualizza si finirà per invecchiarli, proprio perché erano profetici quando nacquero, cioè anticipatori e rivoluzionari rispetto al loro tempo. Se per esempio Manon venisse immessa nella nostra epoca, ci apparirebbe come una sciocca frivola e opportunista. Invece, all’interno del suo momento storico, acquista un altro valore”.
Quale?
“All’epoca le donne di ogni classe sociale dovevano riuscire a sfruttare in un modo o nell’altro la loro femminilità per emergere. Manon cerca una propria libertà rompendo le convenzioni. Si fa guidare dall’istinto senza farsi domande, come una bambina. Solo alla fine, di fronte alla consapevolezza del suo deserto interiore, si renderà conto della propria superficialità. Non rinuncia mai a niente, né all’amore né ai soldi. Mostra di saper sfruttare la ricchezza di Geronte, ma vuole anche l’amore di Des Grieux. Esige tutto con innocenza. Utilizza ogni strumento per essere affrancata dalle norme. Ma non è strategica, ed è questo a renderla originale. Le grandi favorite dell’epoca erano di un cinismo assoluto: non sbagliavano un colpo. Invece Manon non è calcolatrice. Vive con leggerezza e poi perde tutto per amore. La passione la travolge fino all’annientamento”.
C’è differenza tra la Manon di Prévost e quella di Puccini?
“Sì. Prévost, che non a caso piaceva molto a De Sade, ne fa una donna immorale, man- data da ragazzina ni convento dal padre che aveva notato ni lei una tendenza al libertinaggio. È una Manon più ‘spinta’ di quella di Puccini, che la rende più positiva e meno amorale. Nell’opera pucciniana, Manon non ha i genitori e li fratello la sfrutta rendendola una vittima”
Manon somiglia a qualche altra grande figura teatrale?
“Nel romanzo di Prévost Manon mi fa pensare a Don Giovanni per la sua smania di pos- sesso e la convinzione di essere nel giusto cercando il proprio piacere e tornaconto. Già concedendosi pareggia i conti con l’amore, e poco importa li far soffrire e umiliare l’altro. Conta prendere li massimo da tutti e sfidare impunemente la sorte. In Manon l’uso del proprio corpo per ottenere ciò a cui ambisce la rende ancor più negativa di Don Giovanni, che essendo un uomo è trattato positivamente da filosofo della seduzione. È curioso vedere come la donna che insegue Don Giovanni, Donna Elvira, ci sembri una pazza isterica e masochista, e non un fedele innamorato come Des Grieux, che in qualità di uomo tradito ci appare non debole, ma amante di profonde qualità. Manon è invece vista come superficiale, nel senso che non merita Des Grieux. E mentre Don Giovanni è un esploratore dei sentimenti, Donna Elvira è solo un’illusa. Per uomini e donne si adottano sempre due misure e due pesi diversi”.