
01 Mar I puritani

Crediti
Opera seria in tre atti
Libretto di Carlo Pepoli
Musica di Vincenzo Bellini
(Edizione critica Ricordi a cura di Fabrizio Della Seta)
Personaggi e interpreti
Elvira Valton Caterina Sala
Lord Arturo Talbo Dmitry Korchak
Sir Riccardo Forth Christian Federici
Sir Giorgio Valton Dario Russo
Lord Gualtiero Valton Andrea Tabili
Sir Bruno Robertson Marco Puggioni
Enrichetta di Francia Laura Verrecchia
direttore Fabrizio Maria Carminati
regia Chiara Muti
Maestro del coro Luigi Petrozziello
Scene Alessandro Camera
Costumi Tommaso Lagattolla
Light designer Vincent Longuemare
Direttore allestimenti scenici Arcangelo Mazza
Assistente alle scene Michela Mantegazza
Assistente alla regia Paolo Vettori
Assistente ai costumi Donato Di Donna
Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Massimo Bellini
Nuovo allestimento del Teatro Massimo Bellini
Note di regia
Ascoltando le note della musica del Cigno si è pervasi da un senso di dolcezza classica e celestiale malinconia ottocentesca. Bellini ci prende per mano e ci conduce in atmosfere sensuali, sognanti e lunari: un’aura di magia ci pervade. La limpida bellezza delle sue melodie ci rimanda per echi e risonanze ai miti della Magna Grecia, ai lamenti d’amore delle ninfe che sembrano sussurrarci chi fummo, un senso d’appartenenza ci appaga e ci consola… C’è ben poco delle nebbie inglesi e dei colli inamidati, delle intransigenze puritane seicentesche in queste armonie così beatamente italiche. Cos’hanno a che vedere Cromwell e i suoi compari, censori del piacere, del presbiterianesimo, del battismo e del congregazionalismo, con il nostro Bellini, sensuale e fiero, tenero e appassionato? I Puritani debuttarono il 24 gennaio 1835 al Théâtre de la comédie italienne di Parigi. Fu un successo immenso! E non certo per il libretto di Carlo Pepoli ispirato alle vicende di un dramma storico di Ancelot e Boniface: Têtes rondes et Cavaliers. No! Non è di storia che vuole parlarci Bellini, né di Rivoluzione inglese e capitolazione di Carlo I Stuart. Il centro del dramma per il compositore catanese è l’amore struggente, vibrante, lacerante e a raccontarcelo sono da sempre le sue donne: Bianca, Imogene, Alaide, Zaira, Giulietta, Norma, Amina, Beatrice ed ultima Elvira, come loro, espressiva, emotiva, tormentata e viva in eterno per amore, che è, dunque, il punto di partenza. Come fare convivere puritanesimo e romanticismo? Ho immaginato allora uno spazio onirico, fuori dal tempo, forse le vestigia di un museo, in attesa di una storia da raccontare. Al vibrare di note risorgimentali, ecco avanzare sulla scena personaggi ottocenteschi e novecenteschi, di nero vestiti, forse a lutto? Si avvicendano, scrutano l’orizzonte alla ricerca di memorie lontane. Intravedono i fantasmi dell’epoca di Carlo I ed Enrichetta di Francia, le loro sagome come quadri di van Dyck, in cornici vuote, si animano in composizioni di preghiere, battaglie e vicende amorose. La trama di un racconto del seicento incontra lo sguardo dell’Ottocento, vestendosi della sua musica. O ancora l’Ottocento e il Novecento incorniciati a scrutare noi che li guardiamo, in un perenne gioco di ribaltamento dei punti di vista. Il soggetto diventa oggetto e viceversa, a metafora di una materia che solo l’arte può rendere indenne dal tempo. La musica di Bellini è viva! E ci parla oggi, come allora! E da allora ci rassicura. Ma non c’è nulla di rassicurante nei paesaggi notturni dell’Inghilterra puritana di Cromwell. Così, quale unico rimando al mondo fumoso e sarcastico di Shakespeare, ecco avvicendarsi in scena, tra i personaggi seicenteschi, le tele di Füssli, pittore per eccellenza del teatro inglese, visionario, esploratore dell’animo umano. Anticipatore degli ideali estetici del Romanticismo, seppur in età Neoclassica, rappresentò ansie e deliri, angosce e visioni sinistre. Le sue tele trasudano fobie Sin intercede tra Satana la morte, Crazy Kate ovvero la follia per amore e ancora Il sogno del pastore, tratto dal capolavoro della letteratura inglese seicentesca Paradiso perduto John Milton, che lavorò sotto l’ala protettrice dei protestanti. Infine, L’incubo, di cui Freud possedeva una copia, simbolo dell’inconscio femminile, del desiderio represso, della perdita dell’innocenza.
La tempesta d’inizio atto III è per me un delirio dell’anima. L’immagine di una donna abbandonata a se stessa, in balia dei venti, incombe come un vaneggiamento della ragione arduo da districare.
Nell’ultima scena, i puritani, persecutori di ogni forma di rappresentazione, bruciano le tele del racconto, così con il fuoco si vuole disperdere la memoria di un passato che si reputa scomodo. La pace ritrovata è dunque l’avvento di un pensiero unico dominante! Il fuoco purificatore nega ogni possibile confronto: a metafora della censura imperante! Tutto passa, le epoche, le interpretazioni, le mode e i metri di giudizio, ma il genio, lui, resta quale sorgente da cui attingere. Dall’alto come un “Deus ex machina”, il divino Bellini piomba gigante a spegnere l’incendio! L’arte non si tocca! È testimone immutabile e si erge immensa contro ogni forma di oscurantismo!